LECTIO DIVINA SUL VANGELO domenicale - 23

 

3 aprile 2016 – Domenica della Divina Misericordia

Ciclo liturgico: anno C

 

Perché mi hai veduto, Tommaso, tu hai creduto;

beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!

 

 

Giovanni 20,19-31     (At 5,12-16 – Sal: 117 – Ap 1,9-1.12-13.17.19)

 

 

O Padre, che nel giorno del Signore raduni il tuo popolo per celebrare colui che è il Primo e l'Ultimo, il Vivente che ha sconfitto la morte, donaci la forza del tuo Spirito, perché, spezzati i vincoli del male, ti rendiamo il libero servizio della nostra obbedienza e del nostro amore, per regnare con Cristo nella gloria.

 

 

  1. La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!».
  2. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
  3. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi».
  4. Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo.
  5. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
  6. Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù.
  7. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
  8. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!».
  9. Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!».
  10. Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».
  11. Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
  12. Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro.
  13. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Spunti per la riflessione

 

Tommaso il gemello

È risorto, inutile cercarlo fra i crocefissi.

È risorto, inutile correre al sepolcro per imbalsamarlo e rendergli tanti (ipocriti) omaggi postumi. È risorto, davvero, sul serio, senza ombra di dubbio. Le donne sono corse ad avvisare i discepoli che sono corsi per andare a vedere.

Non hanno visto nulla, solo una tomba vuota.

E solo una tomba vuota ci rimane.

Eppure, da quella tomba, tutto è cominciato. Lo Spirito ha illuminato i cuori, offerto una chiave di lettura grandiosa. Da quella tomba e dallo Spirito che, finalmente, è riuscito a penetrare nei cuori, si è spalancata la vita e ha raggiunto anche noi.

Gesù è risorto, è vivo, è qui, è accessibile, è il per sempre presente.

Ma se faticate ad accorgervene, se la notizia non vi riempie il cuore di gioia, state tranquilli: abbiamo davanti a noi un mese per meditare, pregare, riflettere, convertirci.

E in questo percorso abbiamo un grande patrono: Tommaso.

Didimo

Giovanni ci rivela che Tommaso è soprannominato didimo, cioè gemello.

Curioso, come nomignolo. Talmente curioso da far pensare ad un simpatico espediente letterario: Tommaso ci è simile, ci è identico, noi siamo Tommaso.

Ci è uguale nella sua fede sofferta, dubbiosa, claudicante.

Come vorremmo vivere la beatitudine che pronuncia Gesù! Come vorremmo, sul serio, essere felici anche se non abbiamo visto!

Per noi, invece, la fede più che beatitudine è sofferenza, inquietudine. Crediamo, sì, certo, siamo andati e abbiamo visto. Il Vangelo si è svelato agli occhi della nostra anima come la risposta più semplice e credibile, coerente ed armoniosa alle grandi domande della vita.

Se Dio è buono, perché sperimentiamo la violenza e l’odio? Perché in questo odio è sempre il debole e l’innocente a soccombere? Se Dio è luce, perché la tenebra occupa così tanto spazio nei miei pensieri?

Crediamo, sì, ma questo dolore è sempre presente.

Tommaso ci è gemello in questa fede claudicante.

Ma anche nel sentimento di profonda delusione nei confronti di fratelli e sorelle credenti, di uomini di Chiesa.

Gli altri

No, non riesce a immedesimarsi nell’ottimismo dei compagni che gli raccontano di avere visto il risorto. Può darsi, è ammissibile, ma come fa a credere loro? Come può essere Pietro o Andrea a dirglielo, colmi di gioia?

Nessuno di loro era presente sotto la croce. Nessuno ha testimoniato. Nessuno è morto per lui. Sono tutti fuggiti, tutta la loro fede si è sbriciolata al primo scintillio di spada. Una fede finta. Più ipocrita degli ipocriti farisei.

È deluso e amareggiato verso se stesso, Tommaso.

E non crede alla testimonianza di chi, proprio come lui, ha manifestato tutta la propria dirompente fragilità.

Ci è gemello, Tommaso.

Quando uomini e donne di Chiesa ci fanno soffrire, quando rinnegano le parole che professano, quando dicono e non fanno. Tommaso è l patrono delle tante persone che non riescono a vedere la presenza del risorto in questo insieme raccogliticcio che siamo.

Ma, diversamente da noi, Tommaso resta. Non se ne va sbattendo la porta.

Non si sente migliore.

Resta, in questa Chiesa incoerente. E fa benissimo. Perché Gesù viene apposta per lui.

 

Leggerezza

Eccolo, il Risorto. Leggero, splendido, sereno. Sorride, emana una forza travolgente.

Gli altri lo riconoscono e vibrano. Tommaso, ancora ferito, lo guarda senza capacitarsi.

Viene verso di lui ora, il Signore, gli mostra le palme delle mani, trafitte.

«Tommaso, so che hai molto sofferto. Anch’io ho molto sofferto: guarda qui»

E Tommaso cede. La rabbia, il dolore, la paura, lo smarrimento si sciolgono come neve al sole.

Si butta in ginocchio ora e bacia quelle ferite e piange e ride.

«Mio Signore! Mio Dio!».

Pronuncia la prima professione di fede di un credente. La più impegnativa.

Credere senza vedere non significa credere senza alcuna prova.

Ma la prova che Gesù da a Tommaso è inattesa: il dolore condiviso.

La fede sofferta che portiamo nel cuore, le domande che a volte diventando insopportabili dubbi, ma solo chi dubita crede, sono condivise dal Signore. È un sano dolore, una sana inquietudine che ci porta a scavare nella vita, a non viverla da rassegnati, a guardare oltre.

La prova più spettacolare della resurrezione di Cristo: le sue mani trafitte, come trafitti sono i nostri occhi e i nostri pensieri.

Fino a questo punto giunge la misericordia di Dio.

 

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L’Autore

 

Paolo Curtaz

Ultimogenito di tre fratelli, figlio di un imprenditore edile e di una casalinga, ha terminato gli studi di scuola superiore presso l’istituto tecnico per geometri di Aosta nel 1984, per poi entrare nel seminario vescovile di Aosta; ha approfondito i suoi studi in pastorale giovanile e catechistica presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma (1989/1990).

Ordinato sacerdote il 7 settembre 1990 da Ovidio Lari è stato nominato viceparroco di Courmayeur (1990/1993), di Saint Martin de Corlèans ad Aosta (1993/1997) e parroco di Valsavaranche, Rhêmes-Notre-Dame, Rhêmes-Saint-Georges e Introd (1997/2007).

Nel 1995 è stato nominato direttore dell’Ufficio catechistico diocesano, in seguito ha curato il coordinamento della pastorale giovanile cittadina. Dal 1999 al 2007 è stato responsabile dell’Ufficio dei beni culturali ecclesiastici della diocesi di Aosta. Nel 2004, grazie ad un gruppo di amici di Torino, fonda il sito tiraccontolaparola.it che pubblica il commento al vangelo domenicale e le sue conferenze audio. Negli stessi anni conduce la trasmissione radiofonica quotidiana Prima di tutto per il circuito nazionale Inblu della CEI e collabora alla rivista mensile Parola e preghiera Edizioni Paoline, che propone un cammino quotidiano di preghiera per l’uomo contemporaneo.

Dopo un periodo di discernimento, nel 2007 chiede di lasciare il ministero sacerdotale per dedicarsi in altro modo all’evangelizzazione. Oggi è sposato con Luisella e ha un figlio di nome Jakob.

Nel 2009 consegue il baccellierato in teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano con la tesi La figura del sacerdozio nell’epistolario di don Lorenzo Milani e nel 2011 la licenza in teologia pastorale presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma, sezione di Torino, con la tesi Internet e il servizio della Parola di Dio. Analisi critica di alcune omelie presenti nei maggiori siti web cattolici italiani.

Insieme ad alcuni amici, fonda l’associazione culturale Zaccheo (2004) con cui organizza conferenze di esegesi spirituale e viaggi culturali in Terra Santa e in Europa.

Come giornalista pubblicista ha collaborato con alcune riviste cristiane (Il Nostro Tempo, Famiglia Cristiana, L’Eco di Terrasanta) e con siti di pastorale cattolica.

Nel 1999 è stato uno dei protagonisti della campagna pubblicitaria della CEI per l’8x1000 alla Chiesa cattolica. Come parroco di Introd ha accolto per diverse volte papa Giovanni Paolo II e papa Benedetto XVI nelle loro vacanze estive a Les Combes, villaggio di Introd.

 

Esegesi biblica

 

Apparizione ai discepoli (20,19-31)

Questo brano riferisce due apparizioni del Risorto: l’una ai discepoli, la sera dello stesso giorno di Pasqua (vv. 19-23), l’altra a Tommaso, otto giorni dopo (vv. 24-29).

Al termine di queste due apparizioni, si ha la prima conclusione dell’intero vangelo (vv. 30-31).

 

1) L’identità tra il Risorto e il Crocifisso.

L’inizio del racconto vuole far capire che il Risorto che appare è il Gesù crocifisso sul Calvario (vv. 19-20).

Da una parte l’entrare a porte “chiuse”, il fermarsi “in mezzo” agli apostoli e il rivolgere loro la parola dicono chiaramente che Gesù è vivo e possiede un’esistenza del tutto nuova (cfr. 1 Cor 15, 35-50), non quella del semplice tornato in vita, come Lazzaro.

D’altra parte Gesù “mostrò loro le mani e il costato” (v. 20), cioè i segni che il martirio subìto avevano provocato sul suo corpo. Il mistero pasquale consiste proprio nell’identità tra il Gesù del venerdì santo e il Signore della domenica di Pasqua e di tutto il tempo della vita della Chiesa. Credere fermamente che Gesù è risorto e che la sua risurrezione è causa anche della nostra, è sorgente di forza e di speranza.

 

2) I doni del Risorto.

Possiamo ridurli a tre: il conferimento della missione, il dono dello Spirito Santo (la Pentecoste giovannea) e il potere di rimettere i peccati.

 

Il conferimento della missione: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (v. 21). Il parallelismo Padre-Figlio e Figlio-credente, caratteristico del linguaggio giovanneo (6,57; 10,15), è ben più che una semplice analogia: realmente Gesù conferisce ai suoi la missione che ha ricevuto dal Padre. La frase più vicina alla nostra è quella della preghiera sacerdotale: “Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandato nel mondo” (17,18).

 

Il dono dello Spirito Santo: “Gesù alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo” (v. 22). Il verbo greco “emfjsào”, soffiare, usato per indicare la trasmissione dello Spirito, ricorre solo qui nel NT ed è anche assai raro nell’AT; ricorre in Gen 2,7 quando Jahwè soffia lo spirito di vita sulla creta per essere uomo vivente, poi in Ez 37,9 per descrivere la nuova vita delle “ossa aride”. Questo contesto generale ci porta a ritenere che nel nostro versetto si parli di un nuovo atto creativo: mediante il dono dello Spirito, Gesù compie nei discepoli una nuova creazione. Non possiamo qui specificare adeguatamente il rapporto tra questo dono dello Spirito e quello della Pentecoste narrato da Atti 2. Molti studiosi ritengono che Giovanni abbia anticipato qui il fatto della Pentecoste per esprimere così la totalità tra i due avvenimenti.

 

Il potere di rimettere i peccati: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (v. 23). Il Risorto conferisce questo potere a quanti si trovavano in quel determinato luogo a porte chiuse, cioè agli apostoli; conseguentemente si tratta di un potere di carattere ecclesiale concesso agli apostoli e ai loro successori; in questo senso vanno anche le determinazioni del Concilio di Trento (sess. VI, c. 14; sess. XIV, cc 5-6 e canone 10).

 

 

3) L’adesione di fede nel Figlio di Dio.

Nella seconda apparizione, avvenuta “otto giorni dopo” (v. 26), predominano la persona del Risorto e quella di Tommaso. Quest’ultimo è disposto a fare propria la lieta testimonianza degli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore” (v. 25) soltanto se controllerà fisicamente nel Risorto i segni della passione. Con questo atteggiamento di Tommaso, l’evangelista ha il modo di portare avanti l’identità già riscontrata tra il Crocifisso e il Risorto.

Con sconfinata condiscendenza Gesù viene incontro alla pretesa di Tommaso e lo porta a proferire la più alta professione di fede presente nel quarto vangelo: “Signore mio e Dio mio!” (v. 28). L’esatto sfondo per capire tale risposta è quello dell’AT, dove le parole “Signore” e “Dio” corrispondono ai nomi ebraici di “Jahwè” e “Elohim” e sono molto vicine a quanto scrive il Sal 35,23: “Mio Dio e mio Signore”. Con la tecnica, abituale nel NT, di trasferire su Cristo quanto l’AT dice di Jahwè, qui viene proclamata esplicitamente la divinità del Crocifisso-Risorto che Tommaso ha davanti. Le altre professioni di fede, che Giovanni dissemina nel suo vangelo – quali quella di Natanaele (1,49), degli abitanti di Sicar (4,42), di Simon Pietro (6, 68-69), del cieco nato (9,38) e di Marta (11,27) – rimangono al di sotto di questa di Tommaso. Da questo momento in avanti il resto del nostro testo non fa altro che sottolineare il tema della fede: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno”.

 

L’intero brano deve essere letto in chiave liturgica ed eucaristica, nel contesto dell’assemblea domenicale. è quanto ci suggerisce il testo stesso con le frasi: “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato”, cioè la domenica, “Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa” (v. 26), dove quel “di nuovo” suggerisce che i discepoli si riunivano ogni settimana, di domenica, e non ogni giorno. Ricordiamo che quando Giovanni scriveva l’assemblea eucaristica domenicale aveva già avuto un buon collaudo; si vedano Atti 20, 7-11 (la celebrazione domenicale a Triade) e 1 Cor 16,2 (la celebrazione domenicale a Corinto). è dagli scritti giovannei che proviene il termine “giorno del Signore” (Ap 1,10) o domenica.

 

A questo punto si conclude il vangelo di Giovanni (20, 30-31). A sorpresa però il vangelo prosegue con un altro capitolo (21, 1-23) e un’altra conclusione (21, 24-25).

Gi studiosi infatti pensano che questo capitolo 21 sia stato aggiunto più tardi, perché il racconto sembra ignorare le precedenti manifestazioni di Gesù.